domenica 18 settembre 2016

Meditare avendo Cura di lasciare Spazio di Apertura

Ho sempre amato i libri. Ho sempre amato leggere.  Leggere mi ha permesso di sopravvivere nei momenti più bui della mia vita. Sono stata sempre affamata di cose nuove, di mondi diversi da quello in cui vivevo. E li ho amati tutti! Guardandomi indietro mi rendo conto che ogni volta che ho chiuso un libro ho sempre pensato che fosse il più bello che io avessi mai letto, e l’ho sempre consigliato a tutti.
Ho collezionato chili e chili di libri, vedendoli come oggetti sacri che mi hanno permesso di contattare ciò che altrimenti mi sarebbe rimasto sconosciuto.
Forse per questo ho sempre pensato che per scrivere un libro bisognasse “sapere” qualcosa. Qualcosa che gli altri “non sapevano”. E per diverso tempo non ho scritto perché io non sapevo qualcosa che gli altri non sapessero già, ed inoltre il fatto di mettere su carta un mio pensiero lo trovavo contrario al concetto di impermanenza. Mi dicevo: ma se tutto cambia continuamente, come posso io scrivere pensando che ciò che scrivo rimarrà sempre valido, anche per me?
Ho un cattivo rapporto con i contenuti. Quello che mi piace guardare, anche nel mio lavoro, è il processo, il movimento. I contenuti li trovo noiosi e stancanti e spesso stagnanti. Solo quando io mi sono staccata dai contenuti, ho potuto sentire la libertà di movimento nella mia vita. E solo guardando ai processi posso essere utile ai miei pazienti, avviluppati nei contenuti.
Anche questo probabilmente è stato uno dei motivi per cui ho sempre trovato difficile scrivere: non è forse riempire il foglio di contenuti?
Poi però è accaduto che durante una meditazione, ho sentito chiaramente di voler condividere questo processo di cambiamento. Ho sentito che può essere utile a qualcuno, oltre che ai miei pazienti. Anche se è a loro che penso mentre scrivo. Perchè è con loro che il mio processo di trasformazione si fa sempre più chiaro.
È accaduto semplicemente che ho cominciato a vedere con chiarezza e compassione quello che mi accade, senza essere travolta da pensieri o emozioni, e da allora tutto ha cambiato significato. E’ iniziata una nuova storia di vita.. una vita senza storia pregressa né futura, ma nella storia presente.
La cosa che più mi ha stupita e, devo dire, anche intimorita all’inizio, è stata la sensazione che stessi facendo “esperienza” di me mentre vivevo. Non riconoscevo atteggiamenti, azioni, reazioni. Non mi “ritrovavo”, eppure sentivo questa serenità di coerenza. E sentivo come uno sforzo, ogni volta che ritornavo alle vecchie modalità di pensiero. La naturalezza era nello sconosciuto. Lì mi sentivo quieta e comoda.
Tempo fa un mio caro collega mi disse che mentre leggeva i racconti dei miei viaggi, non mi riconosceva. Non riconosceva la mia storia, in cui invece mi vedeva incatenata quando tornavo a casa.



Ecco. Credo che la mia marcia verso il cambiamento sia iniziata proprio lì, quando ho cominciato a viaggiare da sola e a scrivere di ciò che incontravo. Non ho mai programmato nei dettagli i viaggi e ho sempre lasciato che accadessero, con una leggerezza che non mi permettevo nella mia vita “normale”.
Non ho incontrato tanti altri, ma ho incontrato tante me. Non sono mai stata realmente sola perché ho conosciuto tante Giulia che non avevo mai visto prima, e le ho sempre accolte con curiosità ed entusiasmo.
Questo però accadeva durante il viaggio. Quando tornavo a casa era come se venissi inghiottita da una nube di pensieri che mi confondeva e che mi obbligava a ripetermi sempre le stesse cose. Cose che riguardavano ‘chi sono’, ‘da dove vengo’, quanto male ho ricevuto’, ‘gli sforzi che devo continuamente fare per affrancarmi da un passato che non ho voluto io’, ‘le colpe’, ‘la sensazione di non essere mai stata amata’, la paura di essere abbandonata’, ‘la certezza e la condanna della mia solitudine’..
Cosa accadeva di diverso nel viaggio? Cosa mi permetteva di aprirmi senza giudizio alla sconosciuta e amica Giulia?
E mentre scrivo questa domanda mi rendo conto che è errata. Forse la domanda più opportuna è: cosa non mi permetteva, quando tornavo a casa, di incontrare la sconosciuta e amica Giulia?
Per molto tempo ho pensato fosse colpa del contesto, della solitudine, del mio lavoro, delle aspettative degli altri, e bla bla bla.
Poi, poco tempo fa, durante una meditazione di compassione, ho visto qualcosa che mi ha commossa profondamente: la felicità c’è già; la libertà c’è già; la serenità c’è già!
Tutte le cose che mi auguravo con compassione sono in realtà già lì. Quello che succede è solo che io pongo resistenze. Non le accolgo. Attraverso la mia nube di giudizi, rabbia, dolore, aspettative e quant’altro, non lascio spazio per accogliere la felicità, la serenità, la libertà, che sono semplicemente lì. È stato un momento commovente, pieno di luce, pieno di dolcezza e anche pieno di compassione per me. Autentica compassione.
Ora, io non credo realmente di aver avuto un colpo di fortuna, o di essere particolarmente “elevata”. Credo fermamente che tutto il mio faticoso percorso di ricerca mi abbia portato qui. La ricerca di un senso a tutta la sofferenza che ho incontrato mi ha portato a sentire che il punto non è trovare il senso di ciò che accade, ma è l’apertura senza resistenza.

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